L'IMBALSAMATORE CHE FINI' IN UN MUCCHIO DI CENERE
di LAURA ANELLO - PALERMO
(LA STAMPA - VENERDÌ 5 MARZO 2010)
Nella città che ha generato Cagliostro, il mago della truffa e dell'impostura, molti dubitavano che quella bambina addormentata da novant'anni fosse di carne e di ossa. È di cera, è una bambola, è una replica recente, è frutto di un incantesimo, peggio, di una diavoleria. Tutto si è scritto su Rosalia, l'ospite più celebre delle catacombe dei Cappuccini di Palermo, dove centinaia di corpi sono esposti a sfidare titanicamente il tempo e i suoi sfregi. L'incursione più choccante e profonda nella sicilianità che odora di muffe, di incenso e di morte.
E invece Rosalia Lombardo, spirata i16 dicembre 1920, una settimana prima di compiere due anni, è «la più bella mummia del mondo, superiore a quelle di Lenin e di Evita Peron, un capolavoro assoluto». Parola di Dario Piombino-Mascali, il ricercatore dell'Istituto Eurac di Bolzano che ha appena portato alla luce la storia del suo autore - Alfredo Salafia, classe 1869 - e i segreti del suo «Fluido della Perfezione», finora sconosciuto. Non un prodigio, ma una miscela di glicerina, formalina, zinco, alcol saturo di acido salicilico.
La storia l'aveva dimenticato, Dario Piombino-Mascali l'ha disseppellito, interpellando i pronipoti, mettendo le mani sulle sue memorie incompiute (titolo: «Nuovo metodo speciale per la conservazione del cadavere umano allo stato permanentemente fresco»), seguendone la storia fino alla tomba. Gli esiti della ricerca sono finiti in un libretto agile e a tratti sbalorditivo, “Il maestro del sonno eterno” (Edizioni La Zisa), tributo a un uomo che ha dedicato la sua vita alla «consuetudine gentile di tramandare alla posterità intatte le sembianze dei nostri più cari».
Uno scienziato (anche se i suoi studi di chimica e anatomia furono da autodidatta), ma anche un artista. Il suo momento di gloria con la «rimessa in forma» del cadavere dello statista siciliano Francesco Crispi, morto nell'agosto 1901 a Napoli e sottoposto lì a un procedimento non efficace. «Salafia, nove mesi dopo, gli fece una serie di iniezioni sottocutanee - racconta Piombino-Mascali -: riempì di paraffina disciolta in etere le porzioni temporali e le guance, sostituì i bulbi oculari con protesi vitree, rimodellò naso, orecchie e labbra, chiuse la bocca, reinnestò capelli e baffi ormai caduti». La vedova era strabiliata.
Tre mesi dopo, nell'agosto 1902, quel cadavere sul catafalco faceva un figurone. E così in tutte le commemorazioni successive in cui il povero corpo-feticcio veniva mostrato al pubblico: nel 1904, nel 1905, nel 1910 e ancora nel 1914. Inorriditi? Già. Adesso è difficile parlare di morte, superare la rimozione collettiva, vincere il tabù. Ma dagli antichi Egizi agli anni Trenta del Novecento le cose sono andate diversamente, attraverso tecniche di pietrificazione, eviscerazione, disidratazione, bendaggi. «Un'arte millenaria - dice Piombino-Mascali - interrotta con le due guerre mondiali, quando le perdite umane all'ordine del giorno segnano una caduta di interesse verso i costumi funebri, verso la dignità del corpo».
Da Crispi in poi, per le mani di Salafia, passarono prelati, aristocratici e altoborghesi, mentre i poveracci continuavano a finire nelle fosse comuni senza alcun maquillage. Inevitabile allora nel 1909, lo sbarco a New York, dove l'imbalsamatore fondò una società, garantendo pure il servizio «soddisfatti o rimborsati». Qui congreghe di scienziati e cassamortari si stupirono compiaciuti dei prodigi del professore, ispezionando cadaveri ed eccependo su colorito, consistenza, aspetto. Parabola veloce, che si concluse nel 1912. Poi il ritorno in Sicilia e altri corpi da eternare.
Tra questi, Rosalia, la bambina delle catacombe. La sua radiografia rivela la presenza di tutti gli organi interni, di una struttura ossea intatta e pure di una boccetta di vetro collocata dietro la testa, probabilmente riempita di illuministici elisir di lunga morte, sostanze anti-muffa. Sulle cause della sua fine è ancora mistero: nel verbale necroscopico si parla di broncopolmonite, ma altre testimonianze si dividono tra difterite e tifo addominale.
«Se fosse stata difterite - scrive Piombino-Mascali - l'imbalsamazione del corpo sarebbe stata vietata dal regolamento igienico-sanitario del tempo. La causa di morte, quindi, fu forse ridimensionata per conservare per sempre il corpo della piccola». Per Salafia la morte non fu meno inattesa: arrivò il 31 gennaio 1933, tre mesi dopo le sue seconde nozze, per emorragia cerebrale. Aveva 62 anni. Delle sue spoglie, esumate nel 2007, non era rimasto quasi nulla: pochi frammenti dentro un abito blu. Cenere di cenere.
«Se fosse stata difterite - scrive Piombino-Mascali - l'imbalsamazione del corpo sarebbe stata vietata dal regolamento igienico-sanitario del tempo. La causa di morte, quindi, fu forse ridimensionata per conservare per sempre il corpo della piccola». Per Salafia la morte non fu meno inattesa: arrivò il 31 gennaio 1933, tre mesi dopo le sue seconde nozze, per emorragia cerebrale. Aveva 62 anni. Delle sue spoglie, esumate nel 2007, non era rimasto quasi nulla: pochi frammenti dentro un abito blu. Cenere di cenere.
«Se fosse stata difterite - scrive Piombino-Mascali - l'imbalsamazione del corpo sarebbe stata vietata dal regolamento igienico-sanitario del tempo. La causa di morte, quindi, fu forse ridimensionata per conservare per sempre il corpo della piccola». Per Salafia la morte non fu meno inattesa: arrivò il 31 gennaio 1933, tre mesi dopo le sue seconde nozze, per emorragia cerebrale. Aveva 62 anni. Delle sue spoglie, esumate nel 2007, non era rimasto quasi nulla: pochi frammenti dentro un abito blu. Cenere di cenere.
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