di GIULIO GIALLOMBARDO (la Repubblica, 17 ottobre 2010)
Sono tempi duri per chi lavora in fabbrica. Chi vi trascorre gran parte della propria vita, sa bene chi cosa parliamo. Sono proprio alcuni operai ad aver fornito la viva testimonianza della loro esperienza a Piero Macaluso, autore del monologo teatrale Il mio nome è Carducci e lavoravo in Fiat, edito da La Zisa. Il regista- attore di Termini Imerese descrive con taglio quasi cinematografico la parabola proletaria di Giosuè Carducci, operaio segnato dalla
beffarda omonimia con l'illustre poeta. Nel protagonista dell'opera, vive, in effetti, un'anima lirica. Viene fuori nell'ingenuo candore con cui osserva il mondo: gli eventi scorrono passandogli accanto e lui ci si ritrova in mezzo quasi per caso, da spettatore inconsapevole.
La sua vicenda si svolge in quattro fasi che seguono un ideale e paradigmatico ordine cronologico. L'assunzione in Fiat è vissuta con l'entusiasmo di chi crede di entrare in una «fabbrica che non chiuderà mai». Poi arriva il lavoro vero, che si rivela duro, rischioso e sempre più opprimente. Segue, quindi, la lotta operaia, che giunge improvvisa e quasi per caso: «A Roma - dice Giosuè – era come stare dentro un lago blu». La storia del poeta-operaio, non può che concludersi col licenziamento, quarto ed ultimo inevitabile capitolo: ormai è il tempo dell’ "operaio squillo", ovvero «lavori quando ti pare, quando ti chiamano». Il monologo, che alterna siciliano ed italiano, è breve e forse un po' didascalico, ma, si sa, i testi teatrali si completano solo in scena.
PIERO MACALUSO, “Il mio nome è Carducci e lavoravo in Fiat”, Edizioni La Zisa, Pagine 48, Euro 4,90
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